Pandolo

Pandolo, insieme alle sue varianti pindol e pandòl, è forse uno dei termini più usati e più versatili di tutto il dialetto veneto. Pandolo infatti non è legato ad un unico significato specifico ma, in generale, viene usato per definire un qualcosa di lungo, rigido e dritto. Data la vastità di sfumature, quindi di significati specifici, che può assumere l’idea espressa da pandolo ne prenderemo in considerazione solo tre.

Il termine pandolo originariamente era usato per parlare di un dolce dalla forma allungata, intriso di burro e zucchero, particolarmente adatto per essere intinto (o, più squisitamente in dialetto, tociato) nelle bevande. Secondo il dizionario etimologico Turato-Durante è da ricercare proprio in questo primo significato la sua etimologia. Pandolo, deriverebbe quindi dall’espressione “pan de oro” che veniva usata anticamente per parlare di questo dolce, a causa del colore dorato donatogli dal tuorlo d’uovo con cui veniva ricoperto.

Il secondo dei tre significati di pandolo è quello che lo vede descrivere il gioco della lippa.

La lippa è un gioco popolare con il quale si sono divertiti bambini italiani prima, di tutta Europa poi, fin dal XV sec. d.C. Il gioco consiste nel battere con un bastone, chiamato massa in dialetto, un pezzetto di legno leggermente allungato e alle cui estremità si trovano due punte, detto pandolo, facendolo saltare in aria. Una volta fatto saltare in aria il pandolo, il giocatore doveva colpirlo nuovamente con la massa prima che toccasse terra, scagliandolo il più lontano possibile. In alcune zone il giocatore che lanciava il pandolo, mentre lo lanciava, gridava “pandol” ed un compagno, per scherzo, gli rispondeva urlando “strangol” (termine privo di significato, pertanto intraducibile).

L’ultimo significatosi riconnette ad un campo semantico particolarmente sviluppato nel dialetto veneto, quello della stupidità. Pandolo infatti si può rendere in italiano come sciocco, goffo o rimbambito.

Nel mare magnum di termini del dialetto che indicano l’essere stupidi, quello che come usi e significato si avvicina di più a pandolo è pampalugo (inetto). Pandolo e pampalugo, come insulti,coinvolgono la persona limitatamente all’azione, svolta inconsapevolmente, che gli ha fatto guadagnare tale appellativo. Invece, altri epiteti come semo (scemo), insemení (scimunito) e mona (scimmia), coinvolgono la persona nella sua universalità poiché essa ha compiuto una grossa monata (stupidaggine) sapendo quello che stava facendo.

In altre parole: un semo lo è sempre, qualsiasi cosa faccia, poiché ha dimostrato, in una certa misura, di aver voluto compiere la stupidata (stupidaggine, italianismo del dialetto) e quindi di volerlo essere; mentre invece un pandolo è tale solo per quanto riguarda un’azione stupida compiuta involontariamente, senza sapere di preciso quello che stava facendo.

Più che qualsiasi altro termine che indica l’essere stupidi, pandolo possiede una certa sfumatura, un certo “retrogusto”, di dolcezza che, probabilmente, gli è stata donata dal suo significato di pasta dolce. Questa sfumatura di dolcezza dà anche una certa intimità alla parola facendo in modo che il suo uso sia quasi sempre limitato all’ambito familiare, rendendolo il rimprovero preferito delle mamme e delle nonne verso i propri figli e nipoti.

A questo punto viene spontaneo domandarsi cosa centri quest’ultimo significato con l’uso generico, che, come detto all’inizio, accomuna tutti i significati di pandolo. Infatti, se il collegamento tra un pezzo di legno e un biscotto dalla forma allungata con l’idea di qualcosa di rigido e dritto viene quasi naturale, il collegamento tra quest’idea ed il significato di sciocco sembra abbastanza improbabile.  Però, pensando al pandolo(sciocco) come ad una persona che, per quanto alta, grande e grossa, se ne sta dritta e immobile, mortificata, davanti al degheio (disastro) appena combinato, il collegamento tra l’idea di qualcosa di dritto e rigido con quest’ultimo significato appare molto più verosimile.

 Pandolo è una parola che è entrata a far parte della mia vita fin da quando ero piccolo. Ho fatto in particolare la conoscenza di due suoi significati, oltre che, ovviamente, del suo uso generico.

In ordine di tempo, il primo significato di pandolo che ho conosciuto è stato quello di sciocco. Pandolo era infatti la parola usata più frequentemente da mia mamma nei suoi rimproveri quando ne combinavo una delle mie.

Il secondo significato di pandolo che ho conosciuto in prima persona è stato quello di gioco della lippa, gioco che mi ha insegnato la mia “nonna adottiva”.

Si potrebbe dire che io abbia avuto la fortuna di avere “sei nonni”, quattro naturali e due “adottivi”. Dei nonni naturali ne ho conosciuti solo tre, il nonno paterno infatti è morto prima che io nascessi. Fin da piccolo sono quindi stato molto legato alla nonna paterna e ai due nonni materni.

Tra gli otto e i nove anni, nel giro di poco più di sei mesi, persi entrambi i nonni materni. Quella per me fu una gravissima perdita, anche perché ero abituato a vederli tutti i giorni, dato che abitavano con me. Fortunatamente però il vuoto lasciato da loro venne presto attenuato da due vicini di casa, una coppia di anziani, marito e moglie, che nonostante le difficoltà della vita erano sempre con il sorriso ed una gran voglia di mettersi in gioco. Iniziai così a frequentarli sempre di più, passando da loro gran parte del mio tempo libero. In questo modo diventai quasi un nipote ed ebbi quindi la fortuna di ascoltare anche quello che mi raccontavano loro.

Uno dei tanti pomeriggi che avevo trascorso da loro, la vicina mi mostrò come preparare a dovere i due pezzi di legno che servivano per il gioco (la massa ed il pandolo) e mi insegnò a giocare. In verità lei chiamò quel gioco pul, termine che non sono riuscito a trovare in nessun vocabolario del dialetto che ho consultato, ma che è sinonimo di pandolo poiché indicano entrambi il gioco della lippa. Così io, primo della mia famiglia ad essere nato nel terzo millennio, mi sono divertito un mondo a giocare con due pezzi di legno, continuando così, più o meno consapevolmente, a far vivere un gioco, o, più romanticamente, un pezzo della cultura e del mondo che solo i nostri nonni hanno conosciuto.

Emanuele Bortot