Secèr

Più che di una parola si potrebbe parlare di un mondo. Il secèr infatti non indica solo un semplice lavandino ma è anche un simbolo di generazioni di donne che hanno vissuto in Veneto nel passato.

Il termine viene usato principalmente nel trevigiano, è caratteristico del posto. Infatti, già nel veneziano dove abitava mia nonna materna il lavandino veniva chiamato scafa. Secondo il Turato Durante  il termine secèr trae la sua origine dal termine secia che significa secchio e a sua volta deriva dal latino situla, che ha lo stesso significato.

Il secèr è il lavandino della cucina, immancabile in ogni casa colonica fino alla metà del secolo scorso. Esso era situato in uno stanzino spesso esterno all’edificio, collegato con una porta alla sala da pranzo, che veniva chiamato cucinino.

Il secèr è particolare rispetto ai nostri odierni lavandini. Infatti era sempre in pietra, di forma rettangolare e con i bordi rialzati per evitare che l’acqua uscisse. Veniva quasi sempre appoggiato ad almeno una parete del cucinino, dove veniva scavato un buco per poter scolare le acque reflue.

 Il secèr è la normalità di un’epoca nella quale l’acqua corrente e l’elettricità erano ben lontane dal essere nelle case di tutti. Altro che lavastoviglie, salvezza di tutti coloro che devono lavare i piatti. Le stoviglie dovevano essere lavate a mano. Questo ingrato compito toccava sempre alle donne. Questo lavoro però una volta era ben più duro rispetto ad oggi. Infatti una volta le donne non solo dovevano pulire i piatti, ma dovevano anche andare a prendere l’acqua alla fontana o al torrente più vicino e riscaldarla sul fornello, dato che mancavano l’acqua corrente e la caldaia. L’eroica donna di un tempo, dopo aver scaldato l’acqua nella cucina economica, la versava in un secchio (secia) che veniva posto in un angolo del secèr e li lavava i piatti e le posate. Uno a Uno.

Una volta lavati, i piatti venivano messi ad asciugare su una sgiossarola, uno strumento dal nome molto evocativo, traducibile in italiano con “scolapiatti”. Sgiossarola secondo il Turato Durante, deriva dal latino gutta che vuol dire goccia. Essendo però il termine latino gutta simile al

gotico giutan (da cui deriva il verbo giessen del tedesco moderno), che significa versare, il termine sgiossarola potrebbe avere la sua etimologia proprio in quest’ultimo.

Il secèr era un punto d’incontro per le donne della famiglia (non avrebbero sicuramente fatto entrare gli ospiti, anche se donne, nel cucinino e tanto meno avrebbero fatto loro lavare i piatti), in cui si riunivano per lavare le stoviglie, ma anche per ciacolare e spettegolare mentre lavavano. Infatti, dato che a lavare i piatti erano solo le donne e non gli uomini, il cucinino era un posto quasi esclusivamente femminile.

Le donne di oggi non si riuniscono più attorno a un lavandino per parlare, anzi, se si trovano con le amiche per parlare e fare due ciacole lo fanno al bar o nel salottino di casa, magari davanti a un thè o un caffè. I piatti per loro, ormai, li lava la lavastoviglie, fata tecnologica che allevia, almeno in parte, le fatiche senza soluzione di continuità delle donne.

Anche le nostre nonne la usano, per nulla spaventate di fronte a questi mostri di metallo, visti come un complesso di parti metalliche e di plastica, in cui si inseriscono piatti, posate e stoviglie varie che per le nonne si traducono in supiere (piatti), cuciari (cucchiai), bicieri (bicchieri), piron (forchette). A dimostrazione, se mai ve ne fosse bisogno, della duttilità femminile e della capacità delle donne di abituarsi alla novità, anche se foresta, quando essa rappresenti un passo verso condizioni di vita migliori.

Alessia Vignoto